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Customer experience: lavori in corso

Come si traduce in realtà la customer experience? E come si valuta? Inizia da questo numero una serie di analisi in diversi punti di vendita, per capire come le strategie di marketing vengono implementate, in realtà, negli store.


"La conseguenza cognitiva e affettiva dell’esposizione e dell’interazione del cliente con persone, processi, tecnologie, prodotti, servizi o altri output di un’azienda”, così la customer experience viene definita da Francis Buttle (2009). Tre gli elementi fondamentali associati a questo concetto:


  1. touchpoint (il punto di contatto): un sito, un negozio o qualsiasi altro luogo o evento in cui il brand entra in contatto con il cliente;

  2. moment of truth (momento della verità): qualsiasi occasione in cui il cliente interagisce con l’azienda e se ne forma un’impressione, positiva o negativa;

  3. engagement (coinvolgimento): la risposta emozionale e razionale di un cliente alla customer experience.

Riuscire a creare una connessione con i propri clienti è, quindi, una delle grandi sfide (impegnative) del business moderno. Del resto, tutti -insegne, aziende e il mondo collegato- sono alla costante e spasmodica ricerca di una customer experience ottimale, memorabile, da effetto wow: qualcosa che stupisca il cliente e che integri e arricchisca l’online, ormai presente nella quotidianità di tutti. Ma da dove si comincia per ottenere un risultato sorprendente, duraturo, che impatti sui kpi in negozio e, quindi, anche sulla fedeltà dei nostri clienti?


L’approccio moderno suggerisce di partire dal cliente e non dal prodotto, coinvolgendo anche i sales assistant, uno strumento sempre più importante di contatto. Ma andiamo con ordine. Partiamo dal cliente. Nulla di nuovo quando diciamo che oggi è informato, digital, poco fidelizzato e sempre alla ricerca di soddisfare le sue esigenze con immediatezza. Ma, allo stesso tempo, quando decide di entrare in un negozio, si aspetta di vivere esperienze gratificanti, piacevoli, coinvolgenti.


Le parole d’ordine di brand e insegne, allora, cambiano e diventano: coinvolgere, intrattenere, coccolare; le aspettative del cliente non vanno disattese e la sua decisione di raggiungerci in negozio va sempre ricompensata. Essenziale, in questo contesto, ridefinire i contorni di una relazione strategica per l’obiettivo finale, come quella cliente- sales assistant che deve, giocoforza, essere ripensata.


Nuove key words devono comparire: parliamo di energy, emotion, empathy, attitude, authenticity. Mantenere le promesse, creare rapporti autentici, saper realizzare sogni e condividere emozioni sono ingredienti indispensabili per rispondere alle esigenze del nuovo cliente. In quest’ottica, il ruolo del sales assistant va rivisto in chiave emozional-relazionale.


Anche i nuovi kpi, che si sono moltiplicati, devono andare di pari passo; questo implica che il sales assistant debba sapersi muovere su input multidirezionali, dettati da più player: dall’azienda, dal consumatore e dal mondo digital e social. In pratica, il sales assistant deve diventare, a tutti gli effetti, il driver per eccellenza della customer experience.


È lui, quindi, che può e deve fare la differenza in un mondo in cui online, multicanalità e crosscanalità hanno, per ora, la meglio. La relazione umana, unica e insostituibile, è generatrice di pensieri, emozioni, storie e sogni ed è la chiave per creare fedeltà di lungo periodo. Quella fedeltà emozionale, che indica un’affinità con i valori del brand e con chi lo rappresenta in negozio, al quale il consumatore manifesta un sincero attaccamento, perchè sente che il prodotto e le persone sono in linea con le sue aspirazioni, i suoi desideri, i suoi valori.


Una fedeltà che si aggiunge a quella comportamentale, che si sviluppa attraverso un processo decisionale di natura più razionale e facilmente misurabile. Al contrario, la loyalty emozionale non è facile da quantificare, ma rimane essenziale per costruire relazioni di lunga durata. A detta di tutti i retailer ciò che manca oggi è il traffico in negozio. Siamo ossessionati dal convertion rate, dimenticandoci di considerare un aspetto fondamentale: il tema non è quanti clienti entrano in negozio e acquistano in un determinato giorno, ma con quanti clienti il brand può continuare a parlare anche dopo la visita in negozio.


Si aprono, quindi, nuovi scenari nella relazione. Di conseguenza i kpi devono focalizzarsi su ciò che porta alla transazione, e non sulla transazione stessa … o almeno non completamente.


In questo contesto, dal prossimo numero, alcuni casi concreti saranno l’occasione per mostrare come i brand e le insegne stanno lavorando su questi temi con un unico obiettivo: ottenere effetto wow e fedeltà dai clienti.

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